“Il tuo non è davvero un lavoro”

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Ogni tanto, quando ho voglia di farmi del male, mi metto a leggere i commenti degli utenti sugli articoli del Corriere o della Repubblica. Di solito mi basta leggerne una decina per iniziare ad avere pensieri pessimisti e grossi dubbi sull’umanità.

L’altro giorno stavo guardando i commenti sotto un articolo che parlava di Chiara Ferragni (un po’ me le vado a cercare, lo so) e c’era una sfilza di commenti del tipo “dovrebbe cercarsi un lavoro vero”, “influencer de che? Ma che lavoro è?!” ecc ecc.

Ecco, io non sono una fan di Chiara Ferragni, non seguo molto la moda e di tutti i vestiti che pubblicizza non mi importa proprio niente, però dire che non lavora mi sembra assurdo. Si è costruita un lavoro dal nulla, fattura un sacco di soldi ogni anno e ha messo su un’azienda con tanto di dipendenti…a casa mia questo si chiama lavoro.

Eppure, a sentire certa gente, sembra che gli unici “lavori veri” siano quelli che esistono da decenni e che ti distruggono la schiena ogni giorno. Praticamente se non lavori in fabbrica non stai davvero lavorando.

Questo ragionamento mi infastidisce molto. Per come la vedo io qualsiasi cosa che ti permette di pagare le bollette è un lavoro. Anche fare lo spacciatore è un lavoro. Certo, non è legale e non è neanche molto etico, ma sempre di lavoro si tratta.

Comunque, la conversazione sotto l’articolo della Ferragni andava grosso modo così:

Utente A “L’influencer non è un lavoro, semmai è un hobby. E poi mi devono influenzare a far che?? Solo i bimbiminkia di oggi si fanno influenzare!”

Utente B “Guarda che anche la pubblicità ci influenza ogni giorno da decenni, non te ne sei accorto? E comunque, se permette di pagare le bollette allora sì, è un lavoro”

Utente A “Abbiamo una concezione del lavoro diversa allora. Il lavoro non è solo fare i soldi, ma serve anche per dare un servizio alla comunità. Ora non vorrai mica dirmi che un influencer o un social media manager lavorano davvero?”

Utente B “Beh, se iniziamo a giudicare i lavori in base al loro servizio alla comunità non se ne esce più! Poi, scusa, prendiamo un barista. In teoria offre un servizio alla comunità, ma è un servizio davvero utile? Oppure è solo dannoso perché ci spinge a bere alcolici? Insomma, è assurdo fare questo ragionamento!”

(Per renderla più reale dovrei aggiungere orrori di grammatica e punteggiatura a caso, ma vabbé)

Ovviamente il mio pensiero si allinea con l’utente B. Ammiro molto tutte quelle persone che nell’era del digitale sono state in grado di costruirsi un lavoro da zero.

Invece di piangersi addosso, di lamentarsi che non c’è lavoro e che quel poco che c’è è sottopagato e spesso umiliante (io per prima sono colpevole di queste lamentele!) si sono rimboccate le maniche e se lo sono create da sole. E oggi non solo riescono a guadagnare, ma sono libere, viaggiano…e se lo meritano tutto!

Troppo facile inventare sempre scuse “eh, ma quello aveva soldi di famiglia” “eh, ma quello non aveva un mutuo e tre figli come me” “eh ma…“. È ovvio che per qualcuno è più facile che per altri, ma non si può usare questa scusa per non fare niente e continuare a criticare gli altri. I raccomandati e i figli di papà ci sono sempre stati e sempre continueranno ad esserci, in qualsiasi settore, anche per quei lavori “normali”.

Ogni tanto mi viene voglia di rispondere a questi commenti stupidi che leggo in giro. Vorrei scrivere al caro hater che è proprio grazie ai suoi insulti e ai suoi commenti che persone come la Ferragni continuano a guadagnare e diventare sempre più popolari online. Che invidiare e sputare cattiveria sugli altri non porta a nulla, solo a sentirsi più infelici. Che forse sarebbe più produttivo chiedersi “Ma come hanno fatto queste persone ad arrivare dove sono? Forse posso farcela anch’io”.

Vorrei scrivergli che per favore la smetta con questa storia del “io non mi faccio influenzare”. Che tutti ci facciamo influenzare: dagli amici e dai conoscenti, dalla pubblicità, dai personaggi pubblici…solo che non ce ne rendiamo conto. Vorrei scrivergli che se non fosse provato dalla stessa scienza che siamo esseri estremamente influenzabili non esisterebbe un’intera area di studio chiamata neuromarketing.

Poi però penso che mettersi a discutere con certa gente sia inutile. Meglio lasciarli ai loro lavori veri e utili alla comunità…io intanto continuo con il mio finto lavoro nel marketing.

 

 

16 pensieri su ““Il tuo non è davvero un lavoro”

  1. Vittorio Tatti

    Io la penso come l’utente C.
    Di Chiara Ferragni non me ne può fregare di meno: la ignoro, senza parlarne bene o male (fermo restando che campa grazie alla stupidità della gente).
    E anche molti lavori utili alla società, sono solo catene che impediscono all’individuo di emergere, in quanto sfruttato unicamente come un ingranaggio che può essere cambiato quando si vuole.

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      1. Vittorio Tatti

        Che c’entra?
        Non sono informazioni che cerco volutamente: me le ritrovo davanti o leggendo i blog che seguo o i quotidiani online.

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  2. io penso che il lavoro debba servire a sé stessi per fare soldi utili a campàre senza rompere la palle agli altri e ,se avanzano, a godersi un po’ la vita.
    Che poi questo lavoro possa essere utile alla società è molto secondario.
    Altrimenti dovremmo mettere in discussione anche i lavori come calciatori e sportivi professionisti di qualunque sport (soprattutto di quelli che non sono seguiti in tv e quindi non si può nemmeno dire che danno spettacolo e ricreazione), alpinisti (Rainold Messner, ecc), speculatori in borsa, ecc

    L’importante è non dare fastidio agli altri, quindi no a call-center che ci chiamano per tentare di farci fare contratti spesso usando anche metodi psicologici truffaldini, in generale no a venditori scassapalle (da marocchini che vendono rosa ai semafori a qualunque venditore che deve insistere per convincerci).
    Personalmente eviterei di lavorare nel campo militare, sia come soldato che come ricercatore di nuove tecnologie per ammazzare più gente.
    Come border-line vedo i lavori tipo quelli della Vanna Marchi e il suo compare Mago… ma solo perché minacciavano le loro vittime, altrimenti sarebbe tutto ok.
    Il mago Otelma, per esempio, è un grande! Dovrebbe insegnare all’università!

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